venerdì 1 aprile 2011

RIDERE (cos’è e perché)

Nel Post precedente ho parlato di depressione, ora si cambia argomento e si va addirittura all’opposto ossia il ‘RISO’, non inteso come quello che troviamo nei nostri piatti per la gioia del nostro palato ma come RIDERE o SORRIDERE, gioiosamente o amaramente che sia. Nulla esiste di più umano del riso, diceva il filosofo greco Aristotele. Già per lui l'uomo (per ‘uomo’ naturalmente s’intende l’essere umano, uomo o donna che sia) si distingue da tutti gli esseri viventi per la propria capacità di ridere. Se un qualcosa riesce a ridere, quello è un uomo. E essere uomo significa poter ridere. Vale quindi la pena riflettere sul riso, se si vuole  comprendere l'uomo.
Ma la cosa più umana dell'uomo, il suo riso, è nello stesso tempo la cosa più enigmatica. Gli uomini possono, infatti, ridere con uno spirito molto diverso. Esiste il riso gioioso, disteso, spensierato, così come esiste il riso maligno, disperato o cinico. Si ride per la semplice gioia di vivere e si ride perché amareggiati dalle delusioni. Esiste il riso di chi approva qualcosa e se ne entusiasma, ed esistono il riso di chi ride di qualcuno e la derisione al limite della canzonatura e dello scherno. Esistono il riso borioso e quello contagioso, il riso morboso e quello benefico. Il riso non conosce confini, tabù, riguardi, dal momento che si ride delle cose più eccelse e di quelle più meschine, delle cose più sante e di quelle più banali. Il riso abbraccia perciò tutta la gamma della vita e degli atteggiamenti di fondo: dalla bontà all'infamia, dal senso di umanità alla barbarie. Ridendo l'uomo può diventare un enigma per se stesso. Questa breve descrizione mostra già una cosa: una fenomenologia del riso somiglia alla danza su un vulcano. Non facciamo in tempo a pensare di avere un solido terreno sotto i piedi che già lo sentiamo franare. Non è possibile imbrigliare il riso così come non è possibile imbrigliare la vita, cosa che aumenta ancor di più il suo fascino. Nessuna teoria scientifica e nessun potere ecclesiastico o politico è mai riuscito realmente a inquadrarlo in una serie di categorie o addirittura a controllarlo. Chi ha cercato di farlo s'è esposto automaticamente al ridicolo; non si ride mai tanto di cuore come quando si ride alle spalle di chi cerca di controllare il riso. Perciò ogni tentativo di mettere ordine nel campo del riso ha già in sé qualcosa di ridicolo e somiglia al tentativo di imbottigliare il mare o di impacchettare il vento. Già il filosofo francese Henri Bergson, autore all'inizio del XX secolo di un brillante saggio sul riso, sapeva che il riso non è comprensibile e che si sottrae a ogni conoscenza concettuale. Il riso sarebbe come la cresta di schiuma di un'onda marina, e il teorico del riso come un bambino che afferra la schiuma con la mano e si meraviglia di veder subito dopo scorrere solo poche gocce d'acqua tra le sue dita, gocce molto più salate e molto più amare dell'acqua dell'onda che aveva portato la schiuma sulla spiaggia. Tra le molte dimensioni del riso ne prendo in considerazione due d'importanza decisiva: la sua forza distruttiva e sprezzante e la sua forza liberante, incoraggiante e benefica. Quindi, mettiamo da parte le prime due ‘dimensioni’ del riso e teniamoci le altre tre: FORZA LIBERANTE, INCORAGGIANTE e BENEFICA.



Peccato però che un Laringectomizzato (come me, ad esempio, ossia colui che ha subìto una Laringectomia Totale - asportazione della Laringe a causa di un tumore) non possa ridere a ‘squarciagola’, se cercasse di farlo dalla sua bocca un uscirebbe un … suono però può (almeno quello gli è concesso) SOR-RI-DE-RE ossia la stessa espressione facciale (ma silenziosa) di un non Laringectomizzato. Un saluto – Luciano Cremascoli -

Nessun commento:

Posta un commento